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L’apparenza non inganna
Il Roero è una terra a cui sono particolarmente legato; per ragioni di sangue, visto che i miei nonni materni erano originari di questa zona.
E, proprio per ragioni di appartenenza, ho avuto modo di viverlo, soprattutto in gioventù, quando almeno un mese delle vacanze scolastiche passava tra le rocche, i castagneti e le (allora poche) vigne.
Perché la vite, presente da sempre in quest’area, non è mai stata monocultura come in altre zone, condividendo spazi e paesaggi con frutteti e boschi.
Il Roero si trova sulla sinistra idrografica del fiume Tanaro (che lo separa dalle Langhe) e la pianura di Carmagnola, in un territorio dal suolo prevalentemente sabbioso: qui sino a 2 milioni di anni fa c’era il mare, e i fossili che ancora adesso si trovano nelle vigne ne sono dimostrazione lampante. Ma tutta la zona presenta una complessità geologica molto maggiore, passando dal gesso all’argilla per arrivare alle marne.
Se a questo aggiungiamo un clima unico, caratterizzato dalla quasi totale assenza di riserve idriche, dalla poca piovosità e da forti escursioni termiche, si capisce bene che ci trova di fronte a un territorio dalle caratteristiche praticamente irripetibili.
Così come è quasi unica la presenza di due vitigni, uno a bacca bianca e uno a bacca nera, che sanno esprimere entrambi vini di elegante personalità: arneis e nebbiolo.
Ottenuta la DOC nel 1985 e la DOCG nel 2005, l’ultima rivoluzione normativa roerina è datata 2017: oltre a essere state introdotte 135 Menzioni Geografiche (terza zona in Italia dopo Barbaresco e Barolo) è stata data la possibilità di non menzionare la parola Arneis per indicare il Roero bianco – scelta molto coraggiosa – e, sempre per la versione in bianco, l’introduzione della menzione “Riserva”, atta a raccontare e valorizzare il potenziale evolutivo dell’uva arneis.
Per comunicare tutto questo il Consorzio di Tutela del Roero ha deciso di creare quattro etichette che andranno a vestire le bottiglie istituzionali: il Roero bianco, il Roero e le due versioni Riserva.
Presentate a inizio 2021, sono state rilanciate lo scorso 22 aprile durante un webinar dal titolo “Roero DOCG: arte, territorio e cultura”.
Opera dell’artista Feny Parasole, originaria di Bra e nota a livello internazionale, e realizzate dallo studio torinese Labelcinque, le quattro etichette richiamano sia la vite, con il tralcio stilizzato delle versioni Riserva, ma soprattutto il territorio: c’è il bianco del terreno, l’azzurro dell’antico mare, il giallo e il rosso dei vini.
Ma oltre che evocative le etichette a parer mio sono molto belle, eleganti e leggiadre: come molti dei vini prodotti nella zona.
E se il loro scopo è quello di attirare l’attenzione e soprattutto essere ricordate, direi che l’obiettivo è stato centrato in pieno.
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