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La doppia anima del Roero
Come anticipato a livello tematico nel mio articolo di presentazione dell’evento “Online Senza Confini“, organizzato dal Consorzio di Tutela Roero, giovedì 24 febbraio si è tenuta una webinar dedicata alla stampa di settore. Per la prima volta, intendo in modalità virtuale ovviamente, il Consorzio ha presentato il territorio includendo tutte e due le tipologie di vino protagoniste, una sorta di “doppia anima del Roero” insita nelle note colline piemontesi situate alla sinistra del fiume Tanaro.
Silvia Baratta di Gheusis Srl ha come sempre moderato l’incontro, affiancata dal presidente del Consorzio Francesco Monchiero, ormai giunto al terzo mandato. 12 aziende vitivinicole aderenti hanno avuto la possibilità di presentare un proprio vino a scelta ai giornalisti; il panel di degustazione è stato equamente suddiviso in 6 bottiglie di Roero DOCG e 6 di Roero DOCG Arneis. Va specificato il fatto che prima di questo evento, sono stati svolti altri due incontri, suddivisi per categoria “bianco” e “rosso”, dove altre aziende sono stante protagoniste.
Ciò che ho apprezzato maggiormente della webinar è che, dopo la presentazione del Presidente Francesco Monchiero molto approfondita e ricca di cenni storici e territoriali, ogni produttore ha avuto la possibilità di presentare il proprio lavoro, raccontando il più delle volte aneddoti a carattere familiare, episodi che più di mille slide hanno dato la possibilità ai giornalisti di carpire l’essenza di un territorio tanto particolare, indubbiamente in stato di grazia e completa ribalta.
Il Consorzio di Tutela Roero è stato fondato nel 2013, oggi conta 233 soci (147 produttori e 86 viticoltori). L’areale vitivinicolo in questione è stato incluso nella lista dei Paesaggi Culturali Patrimonio Unesco, nel 2014, assieme a Langhe e Monferrato. Il merito va alle genti del posto, allo spirito e alla caparbietà dei vignaioli che nei secoli hanno vissuto in un contesto culturale dove la vite ha rappresentato uno tra gli elementi caratterizzanti della propria esistenza. Lo dimostrano ampiamente gli archivi, l’arte, il paesaggio e l’architettura delle case contadine e dei castelli, un connubio di passione e amore per la materia.
L’area del Roero, in provincia di Cuneo, è compresa tra la pianura di Carmagnola e le basse colline dell’Astigiano. I confini della Docg non corrispondono ai confini della regione del Roero, decisamente più ampia. I comuni che costituiscono la zona di origine del Roero Docg sono 19: Canale, Corneliano d’Alba, Piobesi d’Alba, Vezza d’Alba per intero e Baldissero d’Alba, Castagnito, Castellinaldo, Govone, Guarene,
Magliano Alfieri, Montà, Montaldo Roero, Monteu Roero, Monticello d’Alba, Pocapaglia, Priocca, S. Vittoria d’Alba, S. Stefano Roero, Sommariva Perno in parte. Un’altra particolarità che contraddistingue queste colline, rispetto alle terre ubicate alla destra del fiume Tanaro, è l’ampia biodiversità caratterizzata, oltre che dalla presenza importante della vite, anche da orti, boschi e frutteti. La Docg Roero, tale dal 2004, ai giorni nostri si estende su una superficie totale di 1.158 ettari, di cui 889 vitati ad arneis e 269 vitati a nebbiolo. Su una produzione annua di circa 7 milioni di bottiglie, oltre il 60% è destinato all’esportazione. I mercati maggiormente interessati sono Stati Uniti, Cina, Nord Europa.
Volendo risalire all’origine geologica di questo particolare lembo piemontese, si può tranquillamente asserire che essa risale a 130 milioni di anni fa, quando il territorio faceva parte del fondale del Golfo Padano. I suoli si sono formati per sedimentazione di detriti di varia origine litologica, trasportati dalle correnti marine, le stesse erodevano le montagne circostanti strutturandosi per strati, attraverso varie fasi di prosciugamento e di immersione. Tuttavia è “solo” 2-3 milioni d’anni fa che ha origine il fenomeno che più di tutti ha contribuito maggiormente a plasmare le caratteristiche per cui oggi il Roero è famoso e ricordato: l’emersione dal mare, una vera e propria spinta che portò anche al sovrapporsi di vari tipi di suolo. Va inoltre specificato che successivamente il suolo si ricoprì di sedimenti d’origine alluvionale ed eolica fino a formare un unico altipiano che comprende Roero e Langhe. Queste terre d’origine marina, per forza di cose estremamente friabili, mutarono in una progressiva erosione, dunque tra i 220.000 e i 150.000 anni fa, ci fu uno spostamento che deviò il percorso del Tanaro sulla direttrice Alba – Asti e la conseguente separazione del Roero dalle Langhe, terre di confine.
Ho trovato molto interessante il “capitolo” che presenta a livello morfologico e pedoclimatico il territorio, spiegato da Francesco Monchiero in maniera davvero esaustiva, dunque per capire meglio i vini che in futuro presenterò ho deciso di riportarlo per intero: “Ai giorni nostri il Roero presenta un suolo prevalentemente di tipo marnoso-arenario con una presenza preponderante di arenarie, rocce sedimentarie di origine marina, e un buon tenore in calcare, argilla e sabbia, che rende il terreno sciolto e conferisce sofficità e grande permeabilità. L’origine marina dei terreni li rende piuttosto poveri di sostanza organica ma ricchi in sali minerali. In base all’epoca di emersione dalle acque incontriamo diversi suoli, con sedimenti sabbioso-ghiaiosi continentali, sabbioso-marini e argilloso-marini.
Questi profili sono riscontrabili a volte uno accanto all’altro, a volte sovrapposti uno all’altro, e costituiscono delle vere e proprie macro-aree, disposte lungo la direttrice
che va da nord-ovest (le Rocche) a sud-est (i territori più vicini al Tanaro). Dal punto di vista climatico, il Roero è considerato una zona semi-arida. Le colline roerine sono infatti quasi totalmente sprovviste d’acqua: i sottili strati marnosi che si alternano a quelli sabbiosi offrono riserve idriche solo temporanee, come dimostra il paesaggio viticolo cosparso di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana o di pozzi per pescare dalle falde acquifere.
Le precipitazioni medie vanno dai 650 ai 720 millimetri annuali, parametri che la rendono l’area più povera di piogge di tutto il Sud Piemonte. La maggior parte delle precipitazioni si ha da ottobre a gennaio, e sono fondamentali per l’aumento delle riserve del sottosuolo, necessarie per lo sviluppo vegetativo della vite tra maggio e giugno. Infine, la presenza delle Alpi Marittime porta a escursioni termiche molto importanti, con il rischio di fenomeni temporaleschi e grandinate. In un contesto di questo tipo diventa fondamentale l’utilizzo delle migliori esposizioni e lo sfruttamento delle forti pendenze dei versanti, in grado di garantire una buona insolazione”.
Volendo riportare i tratti salienti della storia del Roero, gli stessi sono legati indissolubilmente alla regione d’appartenenza, il meraviglioso Piemonte: già dal VII secolo a.C. si trovano tracce di commercio, consumo e produzione di vino, come dimostra il ritrovamento di vinaccioli di uve e di anfore vinarie etrusche. Il vero e proprio sviluppo si ebbe ancor prima dell’arrivo dei Romani e si spinse fino alla presenza dei Liguri, influenzati degli Etruschi; ma i primi, come in tutta l’Europa continentale, furono i veri responsabili di una viticoltura attiva ed efficiente.
La crisi dell’Impero Romano, minacciata dalle continue invasioni portò a un brusco abbandono della viticoltura a favore di colture più utili alla sussistenza; ma anche in questa circostanza, grazie agli ordini monastici, la coltivazione della vite sopravvisse.
Bisogna arrivare sino al XI secolo per ammirare un significativo incremento in tema di viticoltura, responsabile fu lo sviluppo dell’alteno, un’antica forma di agricoltura con vite maritata (“tenuta alta”) a sostegni vivi come alberelli di acero o di olmo. Furono emanate leggi specifiche in materia di salvaguardia e regolamentazione della produzione vitivinicola, alcuni esempi: indicazioni delle superfici vitate nei catasti comunali e nascita di toponimi.
Infine fu l’avvento dei Savoia, tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, a decretare la vera e propria fase di consolidamento della produzione vitivinicola, attività che proseguirà senza sosta fino al XIX secolo. Un altro aspetto che mi ha molto colpito riguarda la lungimiranza del territorio roerino e delle sue genti: in periodo di piena
fillossera, dalla seconda metà dell’800 alla prima metà del ‘900, costoro furono già in grado di selezionare le zone più vocate alla coltivazione della vite.
Ma in cosa consiste “La doppia anima del Roero” da me ribattezzata? Per spiegarlo occorrono soltanto due parole, ma le stesse valgono più di mille paragrafi: arneis e nebbiolo. Nel corso degli anni, questi due vitigni autoctoni, sono riusciti a leggere le peculiarità del territorio in maniera eccezionale; soprattutto il primo è stato in grado di imporsi sui mercati nazionali ed esteri grazie ad una versatilità notevole, ma a mio avviso è proprio il nebbiolo la chiave di svolta per un futuro in cui il Roero sarà sempre più protagonista nelle tavole di tutto il mondo.
L’uva a bacca nera più importante del Piemonte vitivinicolo, in queste colline, assume tratti d’estrema eleganza, garbo, finezza e soprattutto spiccata bevibilità; un’immediatezza gustativa che non è mai sinonimo di banalità, anzi, è capacità di mostrare un equilibrio intrinseco già dopo qualche anno dall’imbottigliamento. Tutto ciò lo si deve principalmente alle caratteristiche del terreno già ampiamente palesate, tuttavia è giusto ribadire che le sabbie marine sono indubbiamente le vere responsabili nell’accezione nobile del termine; vini in grado di accontentare il bevitore più esperto, che ricerca austerità e finezza tipiche del nebbiolo, e quello neofita, che per ovvie ragioni predilige un tannino gentile è una rotondità di frutto maggiormente pronunciata.
Questa massima non è tale in tutte le 135 MGA (menzioni geografiche aggiuntive) del Roero: alcune tra queste, lo vedremo in seguito quando descriverò i vini, sono caratterizzate da altre componenti quali argilla, marne, calcare dunque avranno tratti completamente diversi.
Di seguito le caratteristiche principali delle uve in relazione al disciplinare inviate dal Consorzio: Secondo quanto stabilito dal disciplinare la Docg Roero è riservata al Roero Bianco da uve arneis e al Roero Rosso da uve nebbiolo. Il Roero Docg prevede la tipologia Riserva che per il Bianco può essere rivendicata dopo 16 mesi di affinamento mentre per il Rosso dopo 32 mesi.
La tipologia spumante è prevista esclusivamente per il Roero Docg Bianco. La denominazione “Roero Rosso” – senza altra specificazione – è riservata ai vini rossi ottenuti da uve nebbiolo per un minimo del 95%. Possono inoltre concorrere alla sua composizione, congiuntamente o disgiuntamente, le uve provenienti da vitigni a bacca rossa non aromatici idonei alla coltivazione nella Regione Piemonte, fino a un massimo del 5%. La quasi totalità delle aziende, tuttavia, produce Roero Docg con nebbiolo in purezza. A differenze del nebbiolo destinato alla produzione di
Barbaresco Docg e Barolo Docg, le uve che concorrono alla produzione del Roero Docg vengono coltivate sulla sponda sinistra del fiume Tanaro.
La denominazione “Roero Bianco” è riservata al vino bianco ottenuto da uve arneis per un minimo del 95%; possono inoltre concorrere, congiuntamente o disgiuntamente, le uve provenienti da vitigni a bacca bianca non aromatici idonei alla coltivazione nel Piemonte fino a un massimo del 5%. Come nel caso del Roero, anche il Roero Arneis Docg è solitamente un arneis in purezza.
Considerando il fatto che ho intenzione di pubblicare nelle prossime settimane, singolarmente, tutte le 12 etichette degustate, con brevi cenni sulla storia della Cantina, sento altresì il dovere di presentare brevemente le due uve protagoniste, prendendo spunto dal racconto di Francesco Monchiero cha ha saputo sintetizzare molto bene le peculiarità dei due vitigni.
Il nebbiolo, aristocratico vitigno autoctono piemontese, fa la sua comparsa già nel XIII secolo. Successivamente diviene l’uva a bacca nera più apprezzata e rimane tale, soprattutto nel Roero, nonostante l’arrivo della fillossera, la presenza tra i filari di queste colline è sempre protagonista. Ha una fase vegetativa molto lunga: è tra le prime uve a germogliare e l’ultima a essere vendemmiata, spesso nella seconda metà di ottobre, ed è quindi soggetta alle gelate primaverili e alle piogge autunnali.
Particolarmente sensibile alle condizioni geografiche, il nebbiolo viene coltivato in maniera quasi esclusiva in vigneti collinari con lee migliori esposizioni, anche se, soffrendo le posizioni ventose, raramente viene piantato sulle sommità delle colline. I cloni più conosciuti e utilizzati sono tre: lampia, michet e rosé. I terreni sabbiosi conferiscono al Roero Docg Rosso finezza, fragranza e una struttura digeribile, spesso con tannini più contenuti, dunque una beva più immediata, senza per questo comprometterne le caratteristiche che lo rendono adatto all’invecchiamento.
Circa l’arneis troviamo le prime tracce scritte tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, nelle forme Reneysium e Ornesium e nella citazione di una vigna chiamata “moscatelli et renexij”. È possibile che tutto ciò possa essere in riferimento a un luogo ben preciso, l’odierna località canalese Renesio, dove probabilmente già a quei tempi si coltivava questa varietà. Facendo un salto avanti, nel ‘700, si parla dell’arneis in maniera entusiasmante: una tra le uve migliori al pari di un altro caposaldo piemontese, il moscato, la stessa veniva vinificata principalmente dolce o sotto forma di vermouth, conosciuta con il nome di Ormesio e tra il ‘700 e ‘800 come Arnesio. Il nome vero e proprio arneis fa la sua comparsa ad inizi ‘800, già col nome di “bianco Arnesi” contrapposto a “bianco di uve diverse”.
Fu colpita dalla crisi della viticoltura del ‘900. Un aneddoto molto particolare è il seguente: coltivata come uva da tavola, per via della sua dolcezza e maturazione precoce, viene posta accanto al nebbiolo per attirare gli uccelli. Da qui, il nome di “nebbiolo bianco”. Successivamente, negli anni Settanta, quando non se ne contavano che poco più di una decina di ettari, si ebbe la lungimiranza di impiantare vigneti completamente dedicati all’arneis. Il ciclo vegetativo ha un germogliamento medio-precoce, va quindi piantato in zone per quanto possibile non soggette a gelate primaverili. La fioritura avviene solitamente nella prima decade di giugno, e arriva a maturazione nella seconda metà di settembre.
Il Roero, come buona parte delle colline piemontesi, non vive di sola viticoltura, è fondamentale una sinergia con le attività direttamente connesse al vino, la più importante è senza ombra di dubbio la gastronomia.
In queste terre la cucina fa parte della tradizione albese, ha i suoi must nella carne bovina, celebre la razza fassona, nei primi piatti quasi sempre a base di pasta fresca, infine il tartufo e i funghi, vanto a livello nazionale se non mondiale.
Tanto sta facendo il consorzio per promuovere il territorio attraverso manifestazioni specifiche, la più celebre è il Roero Days, evento a cui ho partecipato volentieri qualche anno fa nell’edizione tenutasi al Castello di Guarene, ne ho scritto qui. Il Presidente Monchiero ci tiene a precisare che la prossima è prevista, Covid permettendo, a luglio 2021 e si terrà all’interno della stupenda Reggia di Venaria, una delle più belle dimore sabaude, inserita nei Patrimoni Unesco. Un’altra importante manifestazione è stata la Roero Wine Week, sottotitolo: “tingere l’Italia di Roero Bianco e Rosso”. Dedicata al Roero DOCG Bianco e Rosso, ha coinvolto ristoratori, enoteche e wine-bar in tutta Italia: ai locali che hanno aderito all’iniziativa è stata data la possibilità di proporre al pubblico un calice di Roero DOCG e di ospitare, quando possibile, i produttori, per permettere ai propri clienti di incontrare i veri protagonisti. Inoltre, tutti i clienti dei locali aderenti all’iniziativa, questo riguarda il cuore pulsante della manifestazione, il Roero, hanno potuto usufruire di condizioni speciali per l’accesso a musei e mostre locali.
Non ultimo per importanza, anzi, visto il periodo forse quello più fattibile in termini di fruizione: le quattro esperienze di tour guidato alla scoperta del territorio, ovvero i WineTour tra i cru del Roero. Frutto della collaborazione tra il Consorzio di Tutela del Roero e l’Ecomuseo delle Rocche del Roero, i WineTour sono facili escursioni alla scoperta dei cru, i vigneti di maggior pregio, del Roero da percorrere in bici o a piedi.
Attraverso quattro itinerari panoramici, i visitatori potranno avventurarsi tra i vigneti e le cascine che toccano i punti di maggiore interesse paesaggistico e
naturalistico, ma anche tra i centri storici, con le loro botteghe artigiane, i punti vendita al dettaglio e le gastronomie, le attività di ristorazione e le strutture ricettive. La struttura ad anello dei percorsi dà ai visitatori la possibilità di parcheggiare l’auto e ritornare al punto di partenza a fine escursione, rendendo questi tour ideali per i trekker, gli amanti della mountain bike e gli appassionati di e-bike.
Nati dalla volontà di “accompagnare” i turisti alla scoperta del territorio, è da segnalare che i WineTour tra i cru del Roero sono tra i primi in Italia a mettere a disposizione dei visitatori un’esperienza guidata interattiva attraverso l’app gratuita izi.TRAVEL. Scaricando l’applicazione sul proprio smartphone, i visitatori possono scoprire da una voce che li accompagna durante il percorso curiosità e aneddoti sulla storia del Roero, mentre la funzione GPS integrata indicherà loro il percorso scelto, senza l’ausilio di auricolari. Vista l’originalità dell’iniziativa di seguito riporto il link per maggiori info.
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