Nel Piemonte si trovano tracce di commercio, consumo e produzione di vino fin dal VII secolo a.C., come dimostra il ritrovamento di anfore vinarie etrusche e di vinaccioli di uve di viti coltivate.
La produzione viticola quindi anche nell’area del Roero si sviluppa prima dell’arrivo dei Romani, fin dalla presenza dei Liguri, grazie probabilmente proprio all’influenza degli Etruschi. Come in tutta l’Europa continentale è però il mondo romano a impostare e realizzare una viticoltura efficiente e sistematica. La crisi dell’impero romano e le invasioni successive portarono a un abbandono della viticoltura a favore di colture più utili alla sussistenza. Solo gli ordini monastici continuarono a coltivare la vite.
È a partire dall’XI secolo che la viticoltura torna a espandersi, in particolare con lo sviluppo dell’alteno, terreni in cui erano presenti diversi tipi di coltura e la vite si appoggiava e veniva “tenuta alta”, come ai tempi antichi, a sostegni vivi, cioè alberelli di acero o di olmo. Ne sono testimonianza le molte leggi emanate nei secoli successivi per la salvaguardia e la regolamentazione della produzione vitivinicola, i catasti comunali con le indicazioni delle superfici vitate e, per quanto riguarda i terreni dedicati esclusivamente alla coltivazione della vite, la nascita di toponimi che alla vigna o ai vitigni fanno riferimento. Con l’arrivo dei Savoia, tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, comincia la fase di consolidamento della produzione vitivinicola, che proseguirà senza interruzioni fino al XIX secolo.
Le malattie “americane”, e in particolare la fillossera, che colpiranno l’intero continente dalla seconda metà dell’800 alla prima metà del ‘900, modificheranno radicalmente le viti e i modi di lavorarle, ma non lasceranno particolari strascichi nella viticoltura roerina, anzi in qualche modo aiuteranno a “selezionare” le zone più vocate, in particolare per quanto riguarda le zone più adatte a coltivare il nebbiolo.