Le leggende del Piemonte: la storia della Masca Micilina
Sono tante le leggende del Piemonte che affascinano da secoli grazie all’aura di mistero che le circonda, e oggi vogliamo raccontartene una che riguarda direttamente il territorio del Roero: quella della Masca Micilina.
Forse non sai di cosa stiamo parlando.
Probabilmente perché al di fuori del Piemonte pochi conoscono le Masche, figure misteriose simili alle streghe un tempo diffuse nelle zone collinari piemontesi.
Ma non immaginarti le solite streghe.
Le Masche infatti non hanno, secondo la leggenda, nessun legame con la religione o il diavolo e non sono malvage, ma solo capricciose, dispettose e vendicative.
Non tutte però.
Esistono anche Masche buone, in grado di guarire malattie e ferite di persone e animali e salvare vite in pericolo.
Queste figure sono, ancora oggi, radicate nella tradizione e nelle leggende che riguardano il Piemonte, tanto che esistono detti ed espressioni che oggi utilizzano le Masche come spiegazione dell’improvvisa caduta o sparizione di oggetti: “A-l è le Masche – Ci sono le Masche”.
Adesso che ti sei fatto un’idea di che cosa sono, vediamo la leggenda (o meglio, le due storie) di una delle Masche più famose della regione, la Masca Micilina.
La storia della Masca Micilina
Come ti accennavamo all’inizio, abbiamo deciso di parlarti di questa leggenda proprio per via della provenienza della donna: Pocapaglia, un comune del Roero.
Anche se la Masca Micilina (Michelina) nacque a Barolo, andò in sposa ad un contadino e fu costretta a trasferirsi a Pocapaglia.
Aveva un aspetto strano e spaventoso: piccola e deforme, faccia scura piena di rughe, pochi capelli, naso adunco, sdentata, occhi guerci e un’andatura lenta e strascicata.
Insomma, molto vicino alla comune immagine di strega.
Ma non è l’aspetto che le conferì la nomea di “Masca”, bensì la serie di disagi che provocò agli abitanti del paese.
Sembra infatti che un giorno toccò la schiena di una bambina e il giorno seguente le iniziò a crescere la gobba.
E anche che un giorno un giovane la incrociò e cadde scappando per lo spavento: una volta rialzato aveva un piede rivolto avanti e uno indietro.
A questo si aggiunge la capacità della donna di non farsi trovare, situazione che portò il marito a diffondere la voce di non aver sposato una donna ma una Masca.
Diffusa la voce, arrivò un inquisitore del Tribunale di Savigliano, che condannò Micilina.
Questa venne bruciata in un poggio a Pocapaglia (oggi chiamato Bric d’la Masca), dove è ancora possibile trovare alcune macchie scure (molti credono sia sangue, ma in realtà è ferro ossidato).
Il poggio è visibile percorrendo il Sentiero della Masca Micilina, un tragitto tematico di 4,50 km realizzato dall’Ecomuseo delle Rocche del Roero.
Ma come spesso accade alle leggende, esiste anche una seconda versione della storia.
La Masca Micilina nella raccolta di Italo Calvino
Una storia che riguarda la Maschera Micilina è stata raccontata da Italo Calvino in “La Barba del Conte”, fiaba presente nella raccolta “Fiabe Italiane”.
Scopriamo la trama.
Tutto parte con Masino, il più sveglio di tutti i pocapagliesi.
Questo perché appena nato la madre gli ha fatto fare un bagno nel vino caldo, riscaldato con un ferro di cavallo.
In questo modo Masino ha acquistato la furbizia (dal vino) e la resistenza (dal ferro).
Inoltre, per rinfrescarlo, la madre ha fatto riposare Masino in un guscio di castagna verde che, vista la sua amarezza, gli ha donato l’intelligenza.
Un giorno Masino parte in giro per il mondo, e in paese inizia ad accadere una cosa strana: gli animali vengono rapiti, presumibilmente dalla malvagia “Maschera Micilina”.
I contadini iniziano così a cercare gli animali nel bosco, ma le uniche cose che trovano sono ciuffi di pelo, forcine e orme di scarpe.
Dopo alcuni mesi e ulteriori furti, gli abitanti di Pocapaglia decidono di chiedere aiuto al Conte, un uomo dalla lunga barba nera.
Lui però rifiuta e quindi gli abitanti scrivono a Masino, che ritorna in paese.
Vista la sua furbizia e la sua intelligenza gli bastano solo tre domande (una al barbiere, una al ciabattino e una al cordaro) per risolvere l’arcano.
Parte per il bosco e ritorna con… il Conte.
Era lui infatti l’unico ad avere una barba lunga (tutti erano stati dal barbiere), le scarpe (gli abitanti erano troppo poveri per permettersele) e sicuramente uno spirito non avrebbe avuto bisogno di corde per rubare gli animali.
E le forcine trovate nel bosco?
Le utilizzava per fissarsi la barba sulla testa, in modo da sembrare una donna, in questo caso la “Maschera Micilina”.
Il Conte fu così condannato a restituire tutte le bestie, a pulire le stalle e ad andare tutte le notti nel bosco per preparare le fascine agli abitanti.
Questa leggenda piemontese ti ha appassionato?
C’è un altro fatto molto interessante che potrebbe interessarti e che riguarda, ancora una volta, il nostro territorio: la storia del “Sal di Canale”!
Ringraziamo Paolo Fuga per l’immagine principale di questo articolo.
Interessante. Molto.
Sa di ingenuo e di antico.
Complimenti.
Cerea, nèh!
Che bellissimo ricordo mi torna alla mente, quando più di 30 anni noi genitori mettemmo insieme una recita per i nostri bambini presso la scuola materna che aveva proprio questo soggetto: la Barba del Conte di Italo Calvino.
Anche io a scuola feci una recita su questa storia, Leopoldo ottino di Torino