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Roero: il bianco e il nero (eliminiamo il grigio)
In occasione di un webinar organizzato dal Consorzio di tutela, con l’assaggio di 6 Arneis e 6 Nebbiolo rappresentativi di anime diverse, siamo tornati nel Roero, territorio che lotta da decenni per un meritato posto tra le stelle enologiche piemontesi.
Il Piemonte è così denso di eccellenze enologiche, tra le quali Barolo e Barbaresco che viaggiano ormai nell’empireo mondiale, che si rischia di non dedicare la necessaria attenzione ad alcuni luoghi preziosi. Tra questi, indimenticabile anche per la tutela Unesco del suo paesaggio meraviglioso, il Roero (ne avevamo parlato anche qui).
Un Nebbiolo diverso
È vero, qui il Nebbiolo – il vitigno principe del Piemonte – è molto diverso (e ci mancherebbe altro) da quello delle citate denominazioni che ormai collezionano premi e prezzi stratosferici. È generalmente meno rifinito, il tannino più largo, meno assertivo, al naso è generoso di profumi, talvolta simili a quelli di Langa, ma al palato è molto differente. Vini tendenzialmente più generosi, spessi, talvolta un filo rustici, come confermano i sei assaggi che riportiamo in queste note. Ma crediamo sia solo questione di tempo, la zona solo di recente ha deciso di dare un’accelerata sui rossi. E ci sembra – sempre dagli assaggi – che sia più una questione di agronomia e cantina, ma presto sapremo indicare più precisamente i caratteri distintivi del Nebbiolo roerino, la cui prima differenza è chiaramente data da terreni più sciolti e ricchi di sabbie.
L’asso dell’Arneis (anche Riserva)
Il Roero però ha una carta importante da giocarsi, che lo rende unico in regione: la compresenza di un grande rosso e di un grande bianco, l’Arneis. Anch’esso, stando agli assaggi, è in cerca di un’identità più marcata, ma ha alle spalle trent’anni almeno di visibilità, tra i bianchi eccellenti del Piemonte (l’altro è senza dubbio il Cortese di Gavi). Dedicata all’Arneis è anche la più recente modifica dei disciplinari di produzione (2017): l’introduzione della tipologia Riserva, con invecchiamento minimo di 16 mesi in cantina (ma resta libero il contenitore nel quale eseguire questo affinamento, a conferma della varietà stilistica). È anche possibile etichettare il vino come Roero, semplicemente, anche se crediamo che, esistendo in entrambe le tipologie, questa scelta può essere rischiosa dal punto di vista del
marketing, dato che i consumatori fanno molta fatica a orientarsi nel mare magnum del vino e, credete, talvolta si fatica a capire persino di che colore sono certi vini in bottiglie scure su scaffali poco illuminati.
La zonazione e le 135 Menzioni
Degli oltre 900 ettari di Arneis e 770 di Nebbiolo, meno della metà sono classificati all’interno delle 135 Menzioni geografiche aggiuntive (Mga). È la strada scelta dal Piemonte (e non solo) al posto del cru alla francese. Se questo designa una vigna specifica, una porzione di terreno riconosciuta per la sua peculiarità e qualità, l’Mga segue un concetto di “zonazione”: è la scelta di un toponimo che può insistere anche su diversi comuni. Ad esempio, l’Mga Sant’Anna spartita tra i Comuni di Monteu, Vezza e un briciolo di Canale. E la qualità non è tra i parametri di selezione, mentre lo sono senz’altro i caratteri specifici del territorio (come la composizione del suolo). Tuttavia, se questa è una caratteristica che toglie un poco d’anima a tutte le Mga d’Italia, l’auspicio di proporre stili di Arneis e Nebbiolo più definiti è sincero e specifico, perché talvolta si fatica tanto per realizzare vini d’alta qualità e per comunicare il proprio territorio ma, appena fuori dai propri confini, dove regna l’allegra confusione data dalla moltitudine di bottiglie, è fondamentale presentarsi con una linea (almeno di massima) comune.
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